Scuola Nazionale di Scialpinismo e Snowboard Alpinismo

6 – A cavallo del 2000 lo scialpinismo che cambia: la Sucai dal 1998 al 2003

di Marco “Fax” Faccenda

Una doverosa premessa
A mia memoria la Direzione SUCAI non è mai stata l’espressione del corpo
istruttori; ovvero la Direzione l’ha fatta chi aveva voglia di prendersi tutti gli
oneri (e qualche onore) che questo ruolo comporta, nonché chi aveva tempo
ed energie da sottrarre alla sua vita privata. A maggior ragione il Direttore.
Pertanto ogni Direzione ha dato la sua impronta al corso a seconda dei
discepoli che il Direttore riusciva a coagulare intorno a sé. Si è assistito così
negli anni ad una impostazione oscillante tra Direzioni tecnicamente hard e
altre più morbide e inclusive.
Ogni Direttore è reconditamente convinto che la sua SUCAI sia stata la
migliore. Anzi, forse sarebbe più giusto dire che ogni sucaino pensa che la
SUCAI di quando è stato allievo sia stata la più “giusta”, insomma quella da
rimpiangere. In realtà ogni SUCAI è figlia del suo tempo e ogni Direttore ha
fatto il suo tempo.
Nella SUCAI coesistono due anime, quella tecnica e quella sociale, che l’hanno
caratterizzata rispetto ad altre scuole. Uno yin e uno yang che, seppur spesso
sgomitando tra loro, hanno rappresentato una sorta di solido fil rouge e ne
hanno garantito continuità e solidità.

Un po’ di ordine, preludio ai paletti
C’è stato un tempo in cui per organizzare un corso di scialpinismo ci si trovava
in una osteria, si buttavano giù un po’ di nomi e poi si andava in montagna.
Era una SUCAI romantica come del resto lo era tutto il CAI. Ma come tutte le
attività umane organizzate la spontaneità non era più né necessaria, né
tantomeno sufficiente; c’era bisogno di fare un po’ d’ordine e così nacquero i
primi regolamenti, i nulla osta, le scuole per poter far parte di una scuola e i
comitati regionali di cui pochi hanno capito l’utilità. Sempre più gabbietta,
sempre più imbottiti di norme con lo spettro di una denuncia per l’inosservanza
degli stessi regolamenti da noi creati.
Negli anni ’90 con l’incalzare delle nuove regole la SUCAI ha preso atto che si
era lasciata alle spalle un periodo di vuoto in cui era mancato il ricambio
generazionale tra gli istruttori titolati. La nuova normativa prevedeva che il
direttore della scuola fosse un Istruttore Nazionale di Scialpinismo (INSA);
così, un po’ per celia un po’ per non morir, mi sono ritrovato ad essere il primo
INSA sucaino (1997) dopo svariati anni in cui nessuno era andato a farsi
tormentare ai corsi nazionali. La conseguenza logica fu la carica da Direttore
della scuola e del corso SA2, ininterrottamente fino al 2003.
Sempre in quel periodo ho dovuto stilare con mio grande sollazzo il primo
regolamento della SUCAI dell’era moderna e con gli amici del direttivo
organizzare i momenti di aggiornamento tecnico interni alla scuola.

A cavallo del 2000 tre rivoluzioni
Si può dire che c’è uno scialpinismo prima del 2000 e uno dopo.
Grossi cambiamenti hanno interessato il mondo scialpinistico nel passaggio al
nuovo millennio e la SUCAI non ne è stata risparmiata ovviamente. Identifico
tre strambate, tre cambi di passo cioè tre piccole-grandi rivoluzioni che mi
hanno visto attore/spettatore dalla tolda della SUCAI.

La rivoluzione dei materiali. Da quando è nato lo sci c’è sempre stata una
progressione nello sviluppo dei materiali ma verso la fine degli anni 90 si
assiste in poco tempo a quella che si potrebbe definire la svolta light che trova
il suo fulcro nell’attacco Dynafit, per gli amici “l’attacchino”. L’attacco da
scialpinismo viene così radicalmente rivoluzionato, minimalizzato e soprattutto
alleggerito. Ma non basta, gli sci che fino a quel momento erano lunghi e stretti
si accorciano, si allargano, si alleggeriscono anch’essi e assumono curve
sinuose, in altre parole diventano dei largoni sciancrati che rendono molto più
facile la sciata fuori pista. Gli scarponi passano da sarcofaghi per i piedi a
scarpette comode, leggere e performanti. Insomma, se fino agli anni 90 lo
scialpinismo era uno sport da uomini duri, dove l’estetica della sciata in discesa
passava in secondo piano, diventa sempre un’attività easy, divertente e facile.
La salita è meno faticosa grazie ai materiali più leggeri e più maneggevoli e la
discesa diventa una goduria anche per chi con i vecchi assi non era proprio un
drago.

La rivoluzione culturale. In principio lo scialpinismo era uno, di fianco c’era
anche lo sci estremo ma questa era tutta un’altra parrocchia. Verso la fine del
secolo scorso inizia a far capolino un nuovo modo di vivere lo scialpinismo, il
più anarchico e scanzonato sci ripido. Si assiste così ad una sorta di “Nuovo
Mattino” dello scialpinismo; dalle gite classiche che prevedono l’arrivo in vetta,
ci si sposta alla ricerca di itinerari che magari arrivano solo ad un colletto senza
nome, ma dove l’importante è che ci sia un canale o un pendio intorno ai 40°.
Come nell’arrampicata negli anni ’70, arriva con un po’ di ritardo anche nello
scialpinismo una nuova mentalità che declassa il mito della vetta e predilige il
gesto atletico. Se lo sci estremo era pratica riservata ovviamente a quattro
gatti fuori di testa, lo sci ripido fa cadere gli ultimi tabù e si sdogana ad un
pubblico sempre più ampio, agevolato sicuramente dai nuovi materiali.

La rivoluzione sociologica. La gita si preparava giorni prima. Si consultavano
le guide, tra cui cappeggiava la sacra scrittura “Dalle Marittime al Vallese” o il
Vecchio Testamento “Dal Col di Nava al Monviso”. Il meteo lo si leggeva su
Televideo o lo si ascoltava sulla segreteria telefonica di Chamonix. Poi alla chetichella attorno agli anni 2000 ha fatto capolino Internet e da quel momento ha dilagato anche nello scialpinismo. Così oggi le gite si decidono salendo in auto la valle dove il sito del meteo ha detto a che ora arriverà la prima nuvola e consultando con lo smartphone il social per vedere dove sono
andati il giorno prima altri scialpinisti alla ricerca della powder. [A proposito di
quella che oggi si definirebbe transizione tecnologica, negli ultimi anni del mio
direttorio meno della metà degli istruttori aveva una casella di posta
elettronica.]
Grazie ai nuovi materiali, ad una mentalità meno ingabbiata e a tutti gli
ammennicoli informatici ed elettronici disponibili, dagli anni 2000 è
indiscutibilmente più facile fare scialpinismo e anche la scuola SUCAI se ne è
accorta. Gli allievi hanno meno timori reverenziali verso la montagna, spesso
arrivano già con buone capacità sciistiche o alpinistiche. Gli istruttori più
anziani faticano a stare al passo e quelli un po’ meno old style si sono
aggiornati.

Io direttore
Nel 1984, mio primo anno da allievo, guardando i sucaini con più anzianità
alpinistica (la mia era pari a zero) pensai: “io non sarò mai istruttore”
vedendoli maneggiare con tanta disinvoltura sci, moschettoni e altra mercanzia
e discutere ore su vie, passaggi, di cime mai sentite e di rudi uomini barbuti in
camicia di flanella.
Poi, assolvendo a tutti i sacramenti dell’iter sucaino di allora divenni prima ISA
nel 1994 e poi INSA nel 1997 e Direttore dal 1998 al 2003. E siccome nel CAI
la mano destra deve sempre sapere cosa fa la sinistra ecco che sono stato
Consigliere del CAI Torino nel ‘90-91-96-97-98, Direttore della Commissione
Attività Alpinistiche dal ’96 al 98 oltre ad aver fatto parte della Scuola
Interregionale di Alpinismo e Scialpinismo LPV per non ricordo più quanto
tempo. Che dire, gli anni da Direttore della Scuola SUCAI sono stati per me
semplicemente stupendi. Sono sicuro che ogni Direttore si sia come me sentito
al centro di un piccolo universo con le sue quattro galassie; gli istruttori, gli
allievi, i distintivati e tutti quelli che sapevano della SUCAI senza farne parte.
Per me la SUCAI era innanzitutto una scuola di scialpinismo dove la tecnicità di
una gita doveva prevalere sugli umori degli aggregati; dove la bellezza di una
montagna declassava a superfluo il coro in punta; dove il dislivello non
contemplava la manovrina, il passetto o il nodino.
Nel Fax pensiero lo scialpinismo lo si impara pestando neve, scavalcando colli e
raggiungendo cime. È la complessità di una gita che crea lo scialpinista
emancipato da una scuola chioccia. E le esercitazioni? Il minimo sindacale.
Sì è vero, la “mia” SUCAI ha sacrificato l’aspetto sociale, ha ridotto il numero
degli allievi per poter fare gite con meno inerzia, non ha coccolato i distintivati
e non ha tracciato il solco in sintonia con la SUCAI più trad.
È stata però una formidabile avventura che mi ha lasciato indelebili e
granitiche amicizie. Tra tutti i compagni di ciurma voglio citare Riccardo Brunati
e Marco Schenoni.
Nel 2001 si è celebrato il 50° della scuola e per l’occasione Lorenzo Bersezio,
Roberto Mazzola e il sottoscritto hanno dato alle stampe il libro
commemorativo della SUCAI “Sciare in salita” con il contributo di tutto il corpo
istruttori. È stato un bel momento.
Voglio concludere salutando e ringraziando quelli che per svariati motivi
considero dei riferimenti del mio essere istruttore: Pier Lorenzo Alvigini, Mario
Schipani, Carlo Crovella e il maestro Carlo Ravetti.

Uscita del corso SA2 al Corborant il 22/04/2001. Foto Arch. Marco Faccenda
Festeggiamenti per il 50° durante la cena di fine corso 2001. Da sinistra Marco Faccenda, Renzo Stradella, Lorenzo Bersezio, Enrico Camanni. Foto Arch. Marco Faccenda
Festeggiamenti per il 50° durante la cena di fine corso 2001. Da sinistra Marco Faccenda, Mario Schipani, Lorenzo Bersezio. Foto Arch. Marco Faccenda