di Carlo Crovella
Ringraziamo con affetto Renzo Stradella che ha condiviso i ricordi di un’intera
vita da sucaino
Dopo la stagione 1951-52 il Corso di scialpinismo inanellò un rapido trend di crescita. Nella stagione successiva, infatti, gli allievi erano ben 112.
L’impostazione dei primi anni può apparire “monocratica”: Il Consiglio della Sottosezione affidava, anno per anno, ad un Direttore (a volte affiancato da uno o più Condirettori) il mandato di organizzare il Corso. Il Direttore, fra i mille risvolti di cui doveva occuparsi, sceglieva gli istruttori, i quali, in linea teorica, potevano anche cambiare completamente ogni volta. Tuttavia il bacino da cui si poteva pescarli era complessivamente sempre quello dei soci SUCAI,
per cui in poco tempo si consolidò, senza quasi rendersene conto, un organico istruttori piuttosto stabile.
I Direttori dei primi anni furono Maurizio Quagliolo, Enrico Rizzetti (quattro corsi consecutivi) e Franco Tizzani. A loro, come accennato, si affiancarono spesso dei Condirettori. Il cliché organizzativo di queste stagioni ricalcava l’impostazione del Primo Corso: inizio gite a dicembre (a volte anche a novembre) e programma sistematico fino al ponte di San Giuseppe (19
marzo). In alcune stagioni l’attività si estese anche ad aprile-maggio, realizzando gite di rilievo. Per esempio al termine del Corso 1952-53 la SUCAI giunse in vetta al Gran Paradiso, il primo 4000 della sua storia.
In altre stagioni le gite ufficiali si concludevano a fine marzo circa. A prima vista pare un modello coerente con la definizione originaria di Corso di Ski- alpinismo invernale, ma tutto ciò non deve ingannare sul tenore delle uscite: in periodi non ancora di primavera piena, come appunto avviene a marzo, il Corso si spingeva anche a quote ragguardevoli, sempre nel pieno rispetto della sicurezza.
Nei primissimi anni di attività si cercava, specie nei mesi invernali, di gironzolare nei pressi delle stazioni sciistiche, anche per rispondere all’obiettivo di riempire i pullman con gitanti non appartenenti al Corso. L’avvento di Rizzetti spostò decisamente l’attività verso un’impostazione più simile al concetto di scialpinismo: quindi gite lontano dalle piste, spaziando fra itinerari
classici e traversate impegnative e gabolose.
L’anima didattica della SUCAI emerse ben presto: già a metà anni ’50 durante le gite si effettuavano anche le esercitazioni, compresa quella di discesa con la barella di emergenza.
Sempre molto sentita si è rivelata l’anima conviviale del gruppo, con diversi piacevolissimi risvolti, dalla impiolate nel dopo gita fino all’attività canora. Fin dai primi anni, infatti, si cantava quasi sistematicamente, nei ritorni dalle gite o in rifugio o addirittura in vetta. Il repertorio dei canti di montagna della SUCAI era molto vasto ed articolato, ma uno specifico canto, seppur di origine friulana, intitolato Cjolmi me, acquisì un particolare valore simbolico e, per consuetudine, divenne il canto di vetta della Scuola.
Dai ricordi di Renzo Stradella è possibile ricostruire come mai il nostro canto di vetta sia di origine friulana, considerata l’ampia tradizione canora delle nostre valli.
Ricorda Renzo: “Agli inizi degli anni ’50 capitò in casa Auxilia un libretto di villotte friulane, con parole e musica: la mamma Maria Teresa Pettinati Auxilia si mise al pianoforte e le interpretò insieme ai figli. Una di queste villotte era appunto Cjolmi me, che fu quindi portata in SUCAI da Beppe Auxilia e divenne presto così popolare da diventare il canto di vetta: è un motivo semplice, molto orecchiabile, facile per una seconda voce e, infine, breve, dote che bene si
addice ai cantori che giungono in cima un po’ affaticati, ossia senza fiato.”
Per lasciare traccia scritta del nostro canto di vetta, ne riportiamo qui le strofe (la prima va ripetuta anche alla fine) sia in dialetto friulano che in italiano:
Cjolmi me, cjolmi ninine (tre volte) ——————Prendi me, prendimi cara
bambinute del Signor ————————————–bambina del Signor
Jò passion n’ò mai avude (tre volte) ——————Io non ho mai avuto passioni
e cumò meno che mai ————————————–e adesso meno che mai
Per un lunghissimo periodo non v’è stata cima raggiunta dalla SUCAI che non abbia ascoltato il Cjolmi me, a volte anche in mezzo alla tormenta o sotto una fitta nevicata. Per amore di precisione riportiamo che Flavio Melindo, durante un trekking in terra friulana in anni relativamente recenti, ha scoperto che la pronuncia corretta dovrebbe essere Chiol e non Ciol, ma la consuetudine sucaina è talmente radicata che ora ci parrebbe innaturale non pronunciare
“Ciol”.
Negli ultimi anni la propensione ai canti di montagna si è un po’ persa, non solo in SUCAI: però nel 2011, per lasciare un ricordo indelebile del repertorio canoro sucaino, Flavio Melindo ha registrato un CD con i “nostri” canti, fra i quali, ovviamente, Ciolmi me occupa un posto privilegiato.
Tornando all’evoluzione storica della SUCAI va segnalato che, come fosse un segno del destino, Andrea Filippi partecipò all’uscita del Col Serena (febbraio 1959) proprio poco prima della sua scomparsa. L’episodio assume un valore storico se analizzato a distanza di molti anni. Infatti sul finire degli anni ’50 il Corso SUCAI rischiava di insabbiarsi per l’attenuarsi della spinta entusiastica dei primi tempi: era necessario un cambio di passo.
L’ambiente evitò ogni rischio e anzi diede un maggior impulso strutturale: infatti il Corso si trasformò nella Scuola di scialpinismo. Non si tratta solo di una variazione formale: la Scuola assunse indipendenza e autonomia, aveva ormai un organico istruttori consolidato e sistematico, con un modello organizzativo assodato e replicabile stagione dopo stagione.
A completare il passaggio strutturale e, soprattutto, a gestire la Scuola negli anni successivi, il Consiglio della Sottosezione chiamò sette sucaini di provata esperienza e inossidabile affezione. Vennero affettuosamente soprannominati “Savi Anziani”, ma si trattava di trentenni o poco più. I loro nomi:
Pierlorenzo Alvigini (Vigio), Beppe Auxilia, Mario Bertotto (Quintino), Franco Manzoli (Il Faraone), Maurizio Quagliolo, Franco Tizzani (Il Monarca), Renzo Stradella.
I Savi Anziani, collaborando sistematicamente per l’organizzazione dei corsi, costituirono di fatto la Direzione della Scuola, organo che da quel momento non mancherà più, arrivando a registrare, in tempi recenti, anche dieci-dodici componenti annuali.
La vita della Scuola durante il decennio dei ’60 è quindi fortemente connotata dalla piena attività dei Savi Anziani, cui si debbono molte delle iniziative che ormai costituiscono elementi sistematici della tradizione sucaina.
Nel 1959 venne istituito il Distintivo che rispondeva ad una duplice finalità: da un lato confermare che l’allievo aveva raggiunto una piena autonomia nel sapersi muovere in montagna, dall’altro consentire l’ulteriore partecipazione alle gite da parte di individui che non erano né allievi né (ancora…) istruttori.
Nei decenni il Distintivo (che viene attribuito ancora oggi) costituirà sia l’elemento per tenere nell’ambiente i giovani dotati (puntando ad un loro inserimento nell’organico istruttori) sia un importante strumento con finalità sociali e ricreative.
La spinta organizzativa dei Savi Anziani diede presto nuovi frutti, con una serie di novità che, in molti casi, si diffonderanno all’intero comparto delle Scuole di scialpinismo. Nell’aprile del 1966, su iniziativa della SUCAI, venne organizzato alla Capanna Mautino (in alta Val di Susa) il Primo Raduno dei Direttori dei Corsi di scialpinismo. Si era percepito che occorreva mettere ordine nel mondo didattico del CAI, dove, in circa 15 anni, i Corsi erano nati a macchia di leopardo, cioè su iniziative spontanee e locali, e soprattutto con poca omogeneità di impostazione, programmi, obiettivi e metodologie di insegnamento. In tale contesto venne elaborata l’idea di dar vita ad una nuova figura di istruttore di scialpinismo: l’Istruttore Nazionale (INSA). Il relativo corso sarà organizzato nel novembre 1968 sotto la direzione del “nostro” Renzo Stradella. Nel frattempo l’altro sucaino Franco Rocco Manzoli aveva già assunto la carica di Presidente della Commissione Centrale di scialpinismo del CAI, allora indipendente rispetto a quella dell’alpinismo.
In parallelo alla figura dell’Istruttore Nazionale, venne elaborato il concetto di Scuola Nazionale di scialpinismo e la SUCAI fu presto insignita di tale titolo (1968), acquisendo così una struttura ancor più solida di quella che aveva il semplice Corso nella sua impostazione iniziale.
Il decennio dei ’60 si concluse con una Scuola decisamente strutturata e salda, capace quindi di assecondare il cambiamento generazionale che si registrerà con l’inizio degli anni ’70. In questi anni, pur in presenza di alcuni Savi Anziani che stavano però passando la mano, si affacciò in Direzione una nuova e brillante generazione: Flavio Melindo, Andrea Cavallero e, soprattutto, Mario Schipani (Direttore della Scuola per più volte anche in anni successivi) costituiscono i nomi più di rilievo di questa nuova generazione.
La Scuola ampliò i suoi orizzonti, calcando anche le nevi delle Dolomitì e dei 4000 di Saas Fe, introducendo sempre più i concetti didattici e “preparando” intere schiere di scialpinisti. Insomma l’ambiente era pronto per il passaggio successivo, quello che maturerà fra la seconda metà degli anni ’70 e il decennio degli ’80.
La ruota gira, ma il meccanismo è ormai consolidato: l’evoluzione della Scuola si è potuta sviluppare perché ogni generazione ha rappresentato un anello di questa splendida collana lunga settant’anni.